RiformaProciv, cosa cambia per il volontariato.

Dalla fisionomia del volontario alle nuove regole per i gruppi comunali, dalle nuove possibilità di partecipazione ai diritti e doveri del cittadino: una lunga e approfondita intervista a Roberto Giarola, direttore dell'Ufficio volontariato del Dipartimento della Protezione civile e coordinatore del gruppo di lavoro che ha elaborato il Codice della riforma.

Da un articolo di Luca Calzolari (giornale della protezione civile)

Tra le novità importanti introdotte dalla riforma della protezione civile ve ne sono alcune che riguardano il volontariato. Il primo approfondimento del 2018 sulla riforma vogliamo dedicarlo proprio al volontariato entrando nel dettaglio dei quanto previsto nel Codice.

Per capire cosa cambia ci siamo rivolti a Roberto Giarola, direttore dell'Ufficio volontariato e risorse del servizio nazionale del Dipartimento della protezione civile. Giarola ha svolto un ruolo importante in questo percorso perché ha coordinato il Gruppo di lavoro che ha elaborato il Codice della riforma.

Giarola, prima di entrare nel dettaglio, ci fa un quadro generale rispetto a cosa cambia con il codice e cosa invece è rimasto immutato?
Il nuovo codice consolida tutti gli strumenti che hanno consentito al volontariato organizzato di protezione civile di crescere in questi anni. Questo aspetto è molto importante perché noi avevamo un patrimonio importante di regole, uniche in Europa, che prevedono i cosiddetti "benefici di legge", ovverosia la possibilità di assentarsi dal lavoro, il rimborso delle spese, e via dicendo. Tutto quello che era nel precedente regolamento è stato preservato e reso anche più snello sul piano applicativo, in modo tale che avremo anche un po' più di elasticità nel regolarlo. Ma, oltre a questo, la legge fa molti passi avanti. Innanzitutto il tema del volontariato è inquadrato in un ambito più ampio, che è quello della partecipazione dei cittadini. E ci teniamo a sottolinearlo tant'è che, al primo comma dell'articolo relativo a questo argomento, abbiamo scritto che la forma migliore mediante la quale i cittadini partecipano all'attività del servizio nazionale della protezione civile è quella di entrare in un'associazione di volontariato e acquisire le competenze e le conoscenze necessarie. Quindi abbiamo dato un'indicazione importante: i cittadini partecipano e la prima modalità è entrando a far parte del volontariato di protezione civile.


E' noto che durante le emergenze si sviluppano anche forme di volontariato spontaneo che a volte si auto-organizzano operando spesso in autonomia slegati dal sistema dei soccorsi. Il nuovo codice regolamenta queste forme di volontariato che sono importanti, in che modo?
Abbiamo deciso di dire qualcosa su questo tema molto delicato, e l'abbiamo concordato con i rappresentanti del volontariato nazionale e dei territori che -novità anche questa- hanno partecipato dall'inizio alla stesura della nuova legislazione, sedendo al tavolo con le Amministrazioni. Innanzitutto abbiamo fatto una distinzione, che potrebbe sembrare ovvia ma non lo è, e cioè: c'è una prima formula con la quale ciascuno autonomamente presta la propria opera in un ambito più stretto. L'abbiamo chiamato "proprio ambito famigliare o di prossimità". Per esempio se vengono i volontari ad aiutarmi a liberare casa mia dal fango io posso collaborare ma non sono obbligato perché dipende anche dalle mie capacità. Se decido di collaborare lo faccio in forma legittima, autonoma e sotto la mia responsabilità. Si tratta di una partecipazione ‘occasionale', in questo distinta dalla partecipazione stabile ad un'associazione accreditata.
Questo è importante perché chiarisce anche una serie di relazioni fra i volontari che operano e un cittadino che vuol dare una mano per liberare la propria casa. Però abbiamo precisato che non c'è un'assunzione di responsabilità da parte del volontario nei confronti di chi in casa propria presta la propria opera. Questa ci sembrava una prima importante chiarificazione.


La seconda formula?
Dopo di che, siccome c'è quel fenomeno che ricordava Lei, che riguarda ambiti che non sono il proprio ambito personale, abbiamo semplicemente previsto che queste queste ulteriori tipologie di impegno, anch'esse occasionali, possano essere disciplinate con leggi regionali. La partecipazione spontanea che un cittadino offre nel suo ambito famigliare ha un senso, è giusta, anzi doverosa se le persone sono in grado di dare un loro contributo, mentre creare gruppi che si spostano e vanno in altri territori per dare una mano spesso rappresenta un problema. L'esperienza ci ha dimostrato che questa modalità è un grave errore.


Perché?
Innanzitutto perché sono privi delle conoscenze specifiche, rischiano di farsi del male e di eseguire interventi non appropriati. Operare in emergenza richiede competenze e professionalità, non ci si improvvisa, i rischi sono elevatissimi. Certo fa piacere sapere che ci sono persone sempre disposte ad aiutare, ma ogni volta che si sono verificati interventi di persone non formate, abbiamo avuto casi di incidenti e interventi che hanno rischiato di pregiudicare la situazione. Per esempio, convogliare il fango in fognatura è pericolosissimo, perché il fango si solidifica potrà causare problemi anche maggiori alla rete. Il rischio non è solo per la loro salute, ma anche per l'imperizia con cui viene svolta un'attività.


Quindi la soluzione potrà esserci, ma dovrà essere regolamentata ...
Si, noi abbiamo detto: questo tipo di attività, se la si vuole, dovrà essere comunque regolamentata e abbiamo lasciato l'autonomia alle singole Regioni. Ci sembrava corretto inserire il principio che si tratta di un'attività che deve essere regolata con una norma di legge, lasciando però ai territori la facoltà di disciplinarla in maniera diversa sulla base delle sensibilità e della propria storia. Ci sono dei territori dove la spinta alla partecipazione è maggiore, altri dove lo è meno, questo è un tema che comunque la legge identifica e rimette ad una attività successiva.


Riassumiamo le modalità che un cittadino ha per partecipare alle attività di protezione civile:

Può farlo in tre modi: il primo è quello di entrare a far parte di una associazione di volontariato, così da acquisire le competenze necessarie per essere davvero utile; il secondo è in casa propria, collaborando con i volontari ma sotto la propria responsabilità, per chi è in grado di farlo; il terzo è un'apertura al futuro. Vedremo quale applicazione pratica avrà questa terza modalità. Devo dire che in questo modo abbiamo dato un quadro specifico.


Il codice parla solo di diritti o anche di qualche dovere dei cittadini a partecipare?
Questo è un tema importante. Rispetto alla partecipazione dei cittadini abbiamo cercato di trattare il tema dei diritti e dei doveri. In un'epoca in cui - se mi posso permettere una battuta - i cittadini sembrano avere solo diritti e mai nessun dovere, la parola dovere è un po' desueta purtroppo, noi invece ci siamo tornati sopra e abbiamo detto due cose importanti.


Quali?
La prima: tu cittadino hai il diritto di essere informato, ma questo "essere informato" non è finalizzato a soddisfare una tua mera curiosità. Le informazioni che ricevi, sui piani di protezione civile, sulle modalità con cui quest'ultima è organizzata sul territorio, sono finalizzate a mettere in campo misure di auto-protezione coerenti e razionali in caso di emergenza affinché tu stesso contribuisca a garantire la tua sicurezza. Si tratta di un punto essenziale, perché altrimenti a fronte di una doverosa informazione si rischia di non ottenere alcun risultato.


Un esempio?
Se viene diramata un'allerta rossa, e si va a leggere cosa significa, si vedrà che si parla di "possibili rotture arginali". Il cittadino che vive in una zona in cui i livelli dei fiumi sono pensili, non può dire "nessuno mi ha avvertito", come invece spesso succede, perché il codice di allerta lo prevede chiaramente e deve quindi valutare, responsabilmente, se mettere in atto comportamenti e misure di auto protezione, ad esempio trasferirsi a un piano alto o presso parenti in altre zone se si hanno difficoltà nei movimenti. Esiste un "sistema di doveri": il cittadino che riceve le informazioni è tenuto poi ad ottemperare alle disposizioni che l'autorità di protezione civile impartisce in caso di emergenza. Sembrerebbe una banalità, un'ovvietà, invece è un principio importante, che prima non era stato mai esplicitato e che raccoglie anche un'indicazione unanime proveniente dal mondo del volontariato che, pur spendendosi attivamente in attività di formazione e informazione al cittadino, troppo spesso non trova riscontro del proprio impegno nel comportamento del cittadino durante le emergenze.
Ciò che mi preme sottolineare, è che vivere in un paese ad alto livello di rischio come il nostro, comporta di per sé un livello di resilienza forte. Se le comunità non sono resilienti, i rischi sono più alti. Ecco perché dobbiamo essere tutti responsabilizzati. La legge a questo riguardo è molto chiara, chiama in causa tutti i cittadini, indica la strada del volontariato organizzato, ma dice anche il cittadino ha dei doveri, e che le informazioni che riceve devono essere messe a frutto per salvaguardare la propria sicurezza.


Anche perché in questo modo si rafforza tutto il discorso della comunicazione del rischio e della prevenzione non strutturale...
Assolutamente sì, abbiamo precisato che la comunicazione del rischio ha proprio lo scopo di creare la cultura dell'auto-protezione e abbiamo voluto metterlo nero su bianco in una specifica norma.


Quali sono gli altri punti chiave?
Ci sono altre importanti novità, riassumibili in tre punti chiave.
Il primo definisce finalmente cosa sono esattamente i "gruppi comunali", che pur essendo una realtà fortissima (2000/2500 secondo l'ultimo censimento) e costituendo in alcuni territori la vera e propria ossatura del sistema della protezione civile, rimanevano una sorta di ibrido indefinito senza un preciso status giuridico. Non si capiva cosa fossero: un'emanazione dell'amministrazione?, una realtà di volontariato?
Su questo abbiamo lavorato molto, con il contributo fondamentale dei volontari, ma anche di ANCI e delle Regioni grazie anche ad alcuni richiami che avevamo inserito nel codice del terzo settore qualche mese fa, abbiamo chiuso il cerchio e stabilito che il gruppo comunale è un ente del terzo settore che viene istituito tramite delibera del consiglio comunale (sulla falsariga di una deliberazione-tipo che verrà indicata, per omogeneità, da una direttiva nazionale). Inoltre la norma fa una distinzione chiara fra la parte - diciamo così - gestionale e l'assetto organizzativo del volontariato.


Ovvero?
La parte gestionale è in capo all'amministrazione comunale, vale a dire che il Comune provvede mediante i propri uffici, ad acquistare mezzi, organizzare e gestire attività specifiche. I contributi per queste operazioni verranno quindi erogati al Comune, in maniera trasparente. Inoltre viene salvaguardato l'aspetto del volontariato, al quale è demandato il proprio assetto organizzativo: all'interno del Gruppo comunale infatti il Sindaco identifica un coordinatore dei volontari, scelto su base elettiva. E questo è, a mio parere, un punto fondamentale: il coordinatore dei volontari non è nominato dal Sindaco tout court, bensì individuato dal primo cittadino sulla base di una scelta che nasce all'interno del gruppo. Abbiamo anche salvaguardato il fatto che in alcune realtà esistono dei gruppi o intercomunali o addirittura gruppi provinciali, in Veneto ad esempio ce ne sono alcuni molto significativi. Questo quindi è il primo dei tre punti chiave: gruppi comunali che finalmente hanno un inquadramento giuridico chiaro, specifico, che tutela distintamente la dimensione pubblica e quella volontaristica.


E se il Sindaco non fosse d'accordo sul coordinatore scelto dai volontari?
Ci sarà una delibera per l'istituzione del gruppo che stabilirà anche le modalità di revoca. Qualora ci fossero delle criticità o situazioni o comportamenti che possano preludere a un'eventuale sostituzione, ci si rifarà ad essa.

Andiamo avanti con gli altri due punti chiave...

Gli altri due punti chiave sono: la partecipazione delle associazioni alle attività di pianificazione e la definizione del volontario di protezione civile. La partecipazione dei volontari alle attività di pianificazione è un punto centrale, sul quale, tra l'altro, viene rinviata tutta la definizione delle relazioni sul territorio fra i vari livelli di governo: Regioni, Province, Comuni. E quindi il tema assume un'importanza del tutto nuova: nella legge c'è uno specifico articolo dedicato e ci sarà una direttiva nazionale sulla pianificazione, che finalmente ci permetterà di fare passi avanti verso piani effettivamente operativi. In questo codice abbiamo detto e ribadito che i volontari possono partecipare alla definizione e all'elaborazione dei piani, questa è una norma che c'era già e confidiamo che abbia, in futuro, maggiore e più concreta applicazione.
Abbiamo anche inserito una disposizione che ci permette di dare, chiamiamola così, piena cittadinanza a quelle realtà di volontariato un po' particolari, che nascono da accordi internazionali: mi riferisco ad esempio al Corpo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta, un organismo particolare istituito in virtù di un accordo tra la Repubblica Italiana e il sovrano militare dell'Ordine di Malta.


E la fisionomia del volontario?
Questo è l'ultimo punto chiave, abbiamo definito chi è il volontario di protezione civile. Partendo dalla definizione generale di "volontario" data dal codice del terzo settore ("persona che svolge senza fini di lucro...ecc. ecc.), l'abbiamo declinata fornendo una qualificazione specifica. Fulcro della definizione del volontariato di protezione civile sono la formazione e la qualifica, cioè l'aver acquisito le conoscenze e le competenze necessarie per poter operare efficacemente. Oltre a ciò abbiamo condiviso tutti la necessità di sottolineare il significato particolare del volontario di protezione civile, quale partecipante ad una forza libera e organizzata che contribuisce al miglioramento delle condizioni di vita dell'intera comunità. E' una cosa che, scritta, suona insolita in un testo normativo, ma non è altro che la verità, è quello che i volontari fanno e a cui ci sembrava giusto dare evidenza: la frase è stata presa dal manifesto degli Stati Generali del Volontariato di Protezione Civile, celebrati a Roma nel 2012.


Ha detto che i volontari possono partecipare all'elaborazione dei piani: possono o devono?
Possono: il devono non è mai previsto. Abbiamo recuperato ciò che prevede la 194: se un'organizzazione di volontariato chiede di conoscere gli strumenti in base ai quali è stata costruita la pianificazione territoriale ha il diritto di conoscerli. Ci siamo quindi orientati più sulla partecipazione attiva che sulla obbligatorietà. In tema di pianificazione, noi abbiamo previsto una pianificazione partecipata e non solo dalle organizzazioni di volontariato, ma anche dalla cittadinanza. Un percorso sicuramente faticoso, che necessiterà di tempo, di incontri, di divulgazione. Un percorso fondamentale, mirato a superare quei contesti in cui i cittadini che si trovano a vivere in situazioni di rischio evidente, tendono a non preoccuparsene o, in alcuni casi, a non volerne essere consapevoli.


Qualche perplessità dal mondo del volontariato è stata espressa in rapporto all'iscrizione al terzo settore....
Da un certo punto di vista il codice del terzo settore tra l'altro è ancora una riforma ancora in fieri: all'inizio c'era una grande preoccupazione quando abbiamo scritto questa parte, perché noi avevamo colto che l'iscrizione nel registro unico del terzo settore dovesse essere l'unica forma di registrazione per le organizzazioni di volontariato.
In realtà, il registro unico, che ha preso il posto dei vecchi elenchi della 266, ha la finalità di qualificare l'ente del terzo settore rispetto alla sua forma giuridica, statutaria, organizzativa e amministrativa, e apre a tutta una serie di benefici o trattamenti specifici, per esempio in campo fiscale. Da questo punto di vista abbiamo mantenuto la stessa relazione che c'era con la 266: è il registro unico del terzo settore dove si decide come le associazioni si articolano per fruire dello speciale trattamento riservato agli enti del terzo settore.
Iscriversi nel registro qualifica che sei un ente del terzo settore, ma per fare volontariato nella protezione civile non basta avere una certa fisionomia, bisogna essere integrati nel sistema. Quindi abbiamo preservato il nostro elenco nazionale che del registro unico recepisce le associazioni che operano in protezione civile. Ma non recepisce solo queste, accoglie, infatti, anche i gruppi comunali e le realtà scaturite da accordi internazionali, e in questo modo preserviamo il requisito fondamentale: l'elenco nazionale quindi non è uno strumento che ti qualifica giuridicamente, ma uno strumento che di qualifica operativamente.


Quindi al sistema serve per avere un elenco di strutture operative?
Serve per capire se io ti posso chiamare o no perché so di potermi fidare di te perché sei addestrato, integrato e sai come operare. Fare volontariato di protezione civile non è un diritto: non è che se io faccio la mia associazione in casa mia poi ho il diritto di operare, perché si opera in un sistema e se stai in un sistema bisogna condividerne le regole. E quindi l'elenco nazionale è il modo con il quale la parte pubblica del sistema di protezione civile conosce il volontariato. Lo conosce e quindi poi lo utilizza.


Il codice recepisce anche la nuova figura delle reti associative...
Si, ma con un propria specificità. Il codice del terzo settore ha introdotto la figura delle ‘reti associative', una formula nuova, che sostanzialmente stabilisce che le associazioni con particolari caratteristiche, soprattutto di consistenza, possono svolgere delle funzioni "parapubbliche", cioè che una parte dei compiti anche di controllo, vigilanza, vengono delegati all'associazione stessa, che viene qualificata appunto come rete associativa.
I limiti numerici per far parte di queste reti sono elevatissimi, nel senso che parliamo per le reti nazionali di 500 associazioni associate, con sedi in almeno 10 regioni. Noi l'abbiamo un po' abbassato, perché il nostro è un mondo dove non ci sono solo big player, ma ci sono anche dei medium player, quindi abbiamo parlato di un numero di 100 realtà associate con un numero di regioni ridotto a tre. Questo non è il limite delle associazioni nazionali - attenzione - cioè, le associazioni di volontariato nazionale si possono comunque formare e verranno comunque iscritte nel registro unico del terzo settore nella sezione "altre forme". Ma se vogliono giocarsi sul fronte del "essere rete", con le attività che dicevo prima, è possibile farlo operando in protezione civile anche con numeri inferiori.


Quindi avete creato le reti di protezione civile?
Si abbiamo creato una categoria particolare che sono le reti di protezione civile. Chiaramente questa qualifica di rete, ammette a tutta una serie di altri tavoli e benefici di varia natura - perché anche lì valgono oneri e onori - è valida solo nell'ambito della protezione civile. Cioè non si diventa rete di protezione civile per poi utilizzare la qualifica di rete in un altro ambito di attività, per esempio il sanitario o il sociale.


Un codice deve essere comprensibile e chiaro a chi lo deve conoscere e applicare. Avete fatto uno sforzo anche da questo punto di vista?
Sui linguaggi del nuovo codice avevamo preso impegni specifici: volevamo provare a non scrivere una grande circolare, ma a rimanere su un tenore di linguaggio appropriato per un testo normativo. La 225 era una legge di poche parole molto pensate e, sotto certi aspetti, lungimiranti. Oggi purtroppo spesso la decretazione delegata scivola verso una rappresentazione più da circolare, da direttiva operativa, entra nei dettagli in maniera un po' ossessiva. Noi, anche grazie al modo con cui abbiamo costruito il testo, coinvolgendo nel lavoro tutti sin dall'inizio (Regioni, Comuni, volontari ecc), abbiamo cercato di scrivere a livello appropriato per un testo normativo. Abbiamo quindi cercato di utilizzare poche parole, di essere chiari, e qualche volta - come in questo caso - abbiamo usato parole un po' insolite per un testo normativo, ma lo volevamo particolarmente significativo per il principio che sottendono.


Grazie Giarola, il quadro lo abbiamo sviscerato in profondità. Noi continueremo a tenere attivo sul nostro giornale l'osservatorio sulla riforma, anche perché il tema non si esaurisce con l'approvazione del codice
Infatti è così. Si tenga conto che abbiamo davanti due anni per fare dei correttivi, quindi siamo rimasti molto prudenti. Noi lo dobbiamo applicare il codice, sperimentarlo e a ragion veduta essere pronti a correggerlo, migliorarlo. E contiamo sul lavoro di sentinelle attente come voi.

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